Non violenza nei bilanci (2)
E’ veramente strano constatare che, dopo gli eventi finanziari societari che hanno occupato le prime pagine dei giornali e sono stati al centro di forti dibattiti tra imprenditori, economisti, professori e politici, la “ tensione emotiva ” degli scandali scoppiati alla fine del 2003, si sia abbassata fino ad arrivare a considerare e trattare i fatti di cinque mesi fa come storia passata e o storia da dimenticare.
Persino le società di revisione molto attive in quel periodo a rimettere in carreggiata gli imprenditori certificati con un minimo di “ pulizie di primavera ”, una volta chiusi i bilanci del 2003 sono più tranquille e serene e sono ritirate nel palazzi romani o milanesi a leccarsi le ferite e o a tirare il fiato per lo scampato pericolo.
Per non parlare delle banche, dei collegi sindacali o dei consigli di amministrazione.
Chiacchierando con alcuni colleghi emerge chiaramente che lo strascico umano di suddetti eventi è ancora attuale e inesorabilmente doloroso e drammatico.
La violenza dei buchi palesi o nascosti continua a mietere vittime pubblicamente e non.
“ Per il momento facciamo così, poi vediamo ” è una delle tanti frasi che, immagino, sia riecheggiata molto spesso negli scorsi mesi e in parecchi meeting preparatori dei bilanci e o rendiconti. Mi immagino ulteriori discussioni e riunioni interminabili: “ io la denuncio ”, “ io porto i libri in tribunale ”, “ io tiro fuori tutto ”, “ qui ci ammazziamo ”, “ mi raccomando: acqua in bocca ”.
Questa, signore e signori , è violenza pura. Nascosta, subdola, non corporea ma drammaticamente vera e dolorosa.
L’appello è ancora di pace e di nonviolenza altrettanto vera ma questa volta permettetemi di dire salvifica.
La nonviolenza, però, non è solo scelta etica ma è un tutt’uno etico-operativa. Impone una forte coerenza fra vita personale e impegno concreto. La nonviolenza dei bilanci include, certamente, una visione dell’etica impregnata sulla perfezione individuale, sull’amore interpersonale e sui valori della trasparenza e verità, ma necessità – questo è il punto – di progettualità, di soluzioni alternative e di percorsi di rinnovamento che, se si parla di bilanci, devono attraversare – per forza – approfondimenti societari, legali, contabili, bilancistici e finanziari.
Questo è il punto.
E’ necessario tradurre una voglia di trasparenza e di pulizia in uno strumento (documentale, scritturale ) di ammissione di responsabilità, di stratificazione matriciale delle perdite, di un reset patrimoniale.
Il diritto fallimentare ci aiuta quando si è già al di là del baratro o al massimo si è vicini all’orlo ma non ci aiuta in una ipotetica autodenuncia segreta e in una sorta di confessione, conversione e penitenza gestionale nel momento in cui si è consapevoli di essere in discesa verso il baratro.
Scusate ma questa parte è forse fantazienda .
Mi immagino un tavolo di lavoro dove con grande umiltà gestionale e professionale si tirano dagli armadi gli scheletri e si mettano sul tavolo le relative risultanze finanziarie ed economiche da risanare con una sorta di condono interno. Una carta di impegno che coinvolga soci, amministratori, sindaci, banche, revisori tutti chiamati a sopportare le quote di responsabilità con le relative risorse in un progetto globale di risanamento, rilancio e di strategia nuova ed etica.
“ E’ quando sono debole che sono forte ” è sicuramente una fonte evangelica di sicura profondità e per chi crede di sicuro riferimento. Ma sono certo che in questo versetto esista anche una fonte inedita di teoria manageriale e strategica di forte significato.
E’ forse questa fantazienda ?
Può darsi ma di certo nel pianto del bambino scoperto con la mano nella marmellata c’è una forza così liberante che gestita e organizzata riesce senz’altro a produrre un nuovo modo di fare le cose e di viverle.
Uscire dal tunnel per convertire il momento negativo in un rilancio etico, immediato e inesorabilmente segreto è il cammino verso l’obiettivo finale di soddisfazione e successo imprenditoriale e manageriale che, fantazienda o no, vale la pena provare.
L’idea su cui sto lavorando, ovviamente, non è perfezionata ed è un aspetto, un elemento, un pilastro di un cammino di “transumanza” manageriale dove l’etica tocca la coscienza aziendale e dove i relativi bilanci ne traducono i risultati.
So benissimo che non è semplice inventare una “carta” con tutti i requisiti legali / fiscali sì da tradurre la confessione, conversione e penitenza gestionale che io suggerisco.
Ma credo che l’anelito nascosto e profondo di rinascita che a volte è disperatamente represso e stupidamente deriso stimola e aguzza le intelligenze.
Sarò ingenuo ma io continuo questa mia ricerca e chissà se non trovo qualcuno che mi possa aiutare.
Nino Messina